di Ludovica Schiaroli
A poco più di anno dall’avvio del progetto Stonewallsforlife nel Parco delle Cinque Terre, Emanuele Raso, geologo e coordinatore del progetto, racconta l’avanzamento dei lavori e soprattutto come sia possibile, nonostante l’emergenza sanitaria in atto, portare avanti un progetto così complesso che prevede oltre a molte azioni “sul campo”, anche il coordinamento con interlocutori nazionali e internazionali.
Al momento sono in corso di realizzazione le fasi di affidamento dei servizi per la progettazione e direzione lavori – spiega Raso – un passaggio fondamentale per un ente pubblico a seguito della realizzazione degli studi propedeutici da parte dell’Università di Genova e dell’analisi e digitalizzazione delle particelle catastali da parte della Fondazione Manarola e del Parco Cinque Terre.
Lei oltre che essere il coordinatore del progetto per il Parco è anche un geologo, quale è la situazione oggi dei muri a secco nelle Cinque Terre?
I muri a secco ricoprono circa il 40% dell’intero territorio del Parco: diverse aree sono state oggetto, negli ultimi anni, di numerosi progetti di recupero da parte di aziende agricole e singoli proprietari, invertendo così un trend negativo sull’abbandono delle aree coltivate che proseguiva da decenni. Il Parco continua a mettere in campo diverse azioni volte a sostenere il recupero dei terreni incolti ed il mantenimento di quelli coltivati.
Il Parco delle Cinque Terre è conosciuto in tutto il mondo, forse proprio per questo è stato scelto di partire da qui con questo progetto così ambizioso. Che risposte state avendo dagli altri territori?
Gli stakeholder finora coinvolti hanno dimostrato grande interesse nei confronti del progetto, in particolar modo le associazioni internazionali che lavorano per preservare il paesaggio e le tecniche dei muri a secco in Europa e nel mondo: una collaborazione che avvalora il riconoscimento da parte dell’UNESCO dell’arte dei muri a secco quale patrimonio mondiale dell’umanità.
Quali sono i vostri interlocutori nazionali e internazionali e che ruolo hanno nel progetto?
L’interlocutore principale è Fondazione Manarola, a cui va riconosciuto il merito di aver pensato e proposto il modello che è alla base del progetto, ossia l’individuazione dei terreni incolti, la stipula di un contratto di comodato d’uso e l’assegnazione ad aziende agricole per il successivo ripristino e messa in produzione del terreno. Gli altri partner hanno tutti un ruolo fondamentale nel progetto: ITRB per gli aspetti gestionali e di rapporti con la Commissione Europea, DISTAV – Università di Genova per quanto riguarda gli aspetti scientifici, Legambiente per la comunicazione e la gestione amministrativo-finanziaria e DIBA – Provincia di Barcellona per la replicazione in altri contesti all’interno dell’Unione Europea.
Un ruolo importante è quello svolto dai ricercatori del DISTAV dell’Università di Genova. In cosa sono impegnati in questa fase del progetto?
DISTAV ha eseguito gli studi geologici e geomorfologici di dettaglio che hanno consentito di ricostruire, oltre all’assetto geologico legato alle litologie presenti, la morfologia antropica del luogo con un elevato grado di dettaglio: canali di regimazione delle acque orizzontali e verticali, digitalizzazione dei muri a secco, ricostruzione del modello digitale del terreno. Nei prossimi anni verranno messi a punto sistemi di monitoraggio dei versanti per quanto riguarda l’erosione superficiale e la funzione di sostegno dei muri a secco secondo diverse tecniche costruttive.
Come viene percepito da chi vive nelle Cinque Terre e nei paesi limitrofi il progetto?
L’intera comunità delle Cinque Terre è sicuramente molto coinvolta dal progetto e nutre perciò grandi aspettative: in questa fase bisogna essere pazienti e fiduciosi, essendo consapevoli della complessità di un progetto simile e degli adempimenti normativi che vanno rispettati. Credo che a medio-lungo termine un modello del genere possa rappresentare una svolta per il tema del recupero dei terreni abbandonati in un territorio con proprietà rurali estremamente frammentate e difficili da mantenere come quello delle Cinque Terre.
Si parla tanto di cambiamenti climatici ma spesso si fa fatica a capire quanto incidano nella nostra vita. Può farci degli esempi che spieghino perché è necessario impegnarci nella mitigazione di questo fenomeno?
Questo progetto non riguarda tanto la mitigazione dei cambiamenti climatici, che punta a contrastare direttamente le cause all’origine (es. abbattimento delle emissioni di gas serra attraverso produzione di energia pulita o stoccaggio di CO2 in profondità, etc.), quanto l’adattamento agli stessi: cercare quindi di rendere meno dannosi gli effetti andando ad intervenire sul territorio. Un esempio pratico è rappresentato dall’adeguamento delle sezioni degli alvei fluviali che non sono più in grado di smaltire portate idriche causate da eventi di pioggia fuori dall’ordinario.
Come si porta avanti un progetto così complesso nel mezzo di un’emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo con il Covid-19?
La prosecuzione di un progetto complesso come questo in epoca di pandemia globale è estremamente complicato dal momento che, al di là del rallentamento delle questioni tecniche ed operative, tutta la componente umana, sociale dell’iniziativa (coinvolgimento stakeholder, meeting, sopralluoghi) è di fatto traslata in una dimensione digitale ed in qualche modo tende ad appiattire l’aspetto emotivo che è di fatto il motore di queste attività.
La Fondazione Manarola ha avuto un ruolo determinante nella nascita del progetto. In che modo partecipa al progetto oggi?
Fondazione Manarola ha avuto un ruolo fondamentale nella creazione del modello alla base del progetto: nel prosieguo dello stesso avrà un ruolo importante per i corsi formativi sulla costruzione dei muri, per l’identificazione delle aree da recuperare progressivamente e sulla disseminazione dei risultati verso le comunità locali.
Le Cinque Terre sono state una terra da cui nel secolo scorso si emigrava in cerca di fortuna, oggi potrebbe diventare invece un’occasione per tanti migranti, disoccupati e persone svantaggiate che attraverso questo progetto potrebbero acquisire una professionalità e un lavoro proprio in questo territorio. Pensa che tutto questo sia casuale o invece è frutto di una solidarietà antica?
La solidarietà è parte del bagaglio culturale degli abitanti di questi luoghi: questo sentimento si manifesta nelle iniziative già intraprese per l’inserimento di persone svantaggiate nella filiera agricola, comprensiva del tema del ripristino dei terrazzamenti. Si spera che, specie una volta finita questa pandemia globale, possa ulteriormente aumentare l’inclusione sociale attraverso progetti di questo genere e tramite un’imprenditoria locale attenta e sensibile a questi temi.
Da monterossino, che ha avuto diverse esperienze di studio e lavoro all’estero ha scelto di rimanere nella su terra. Perché?
Si dice “nemo propheta in patria”, ma vorrei andare controcorrente: il contribuire alla realizzazione di progetti per i luoghi in cui si è nati e cresciuti ha un valore inestimabile, per fare questo credo sia fondamentale conoscere i luoghi e le tradizioni ed allo stesso tempo avere orizzonti ampi e una formazione solida alle spalle. Parlare dialetto ed inglese, per sintetizzare.
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