di Ludovica Schiaroli
È partito lo scorso luglio, nel Parco nazionale delle Cinque Terre uno dei progetti più ambiziosi per l’adattamento al cambiamento climatico: si chiama Stonewallsforlife e individua nell’antica pratica dei muri a secco lo strumento per combattere quella che, nell’ultimo rapporto sul clima redatto dall’Onu, viene considerata “la battaglia da portare avanti senza distrazioni”.
Il progettoprevede il recupero e il mantenimento di circa sei ettari di muri a secco a Manarola, nel comune di Riomaggiore, grazie al cofinanziamento dell’Unione Europea ed è parte del Programma LIFE “Adattamento ai cambiamenti cliimatici”. Capofila di Stonewallsforlife è il Parco nazionale delle Cinque Terre affiancato dalla Fondazione Manarola, l’Università di Genova, lTRB Group, Legambiente e Diputaciò Barcelona.
“Il ruolo del parco è quello di seguire l’andamento del progetto, la realizzazione dei lavori di ripristino dei muri a secco, la pulizia dei terreni e infine l’affidamento di questi ultimi alle aziende. Il tutto confrontandoci con i partner che ci affiancano nelle diverse azioni”.
Lo racconta Emanuele Raso, geologo e coordinatore di Stonewallsforlife per conto del Parco mentre spiega come il progetto possa diventare un punto di partenza anche per creare nuove sinergie tra centri storici e aree agricole.
“Le Cinque Terre sono una zona molto dinamica da un punto di visto geomorfologico – spiega Emanuele Raso – qui non siamo in zona sismica ma la superficie dei versanti è molto sollecitata, vi sono grandi pendenze e spesso i fenomeni meteorologici si traducono in eventi alluvionali di elevata energia: a volte basta una pioggia intensa di due, tre ore per innescare fenomeni idraulici che causano forti erosioni. Il ripristino dei terrazzamenti, con la loro funzione di veri e propri serbatoi per l’acqua piovana, può essere una risposta efficace per l’adattamento climatico”.
Il progetto riveste un ruolo importante anche per quanto riguarda il dissesto idrogeologico; gli abitanti delle Cinque Terre non dimenticano la tragedia dell’alluvione del 25 ottobre 2011 quando acqua e fango causarono la morte di tredici persone tra costa e entroterra, devastando in particolare Vernazza e Monterosso. “Il fondo si è toccato quel giorno – racconta Raso – ma da quello shock è nata una nuova consapevolezza, ci si è resi conto che non si poteva tralasciare il problema dei versanti abbandonati e occuparsi solo dei centri storici e delle attività turistiche ma la simbiosi tra le zone naturali e agricole con i centri urbani doveva ricostituirsi. Poi sono aumentate le aziende agricole, le associazioni, le fondazioni ed è cresciuta una consapevolezza diversa”.
Particolarmente interessante, nello sviluppo del progetto, è stato quanto fatto dalla Fondazione Manarola, che nata proprio nel 2011 in seguito all’alluvione, si è posta subito la questione di come affrontare il problema dell’abbandono dei terreni e del recupero dei terrazzamenti trovando soluzioni innovative. “Le Cinque Terre sono caratterizzata da una microparcellizzazione dei terreni – spiega Raso – spesso i proprietari non sono interessati al recupero, alcuni nemmeno sono consapevoli di avere questi terreni. La Fondazione Manarola si occupa di rintracciare i privati, prende i terreni in comodato d’uso, li risistema grazie all’intervento del Parco e infine questi vengono dati in gestione alle aziende agricole che ne fanno richiesta”.
Così, quello che era partito in modo sperimentale, poco meno di dieci anni fa, è diventato oggi il progetto Stonewallsforlife, che rende possibile interventi mirati e più efficaci: ad esempio ora si può intervenire anche in quelle zone impervie e scoscese dove prima non si avevano i mezzi (soprattutto economici) per eseguire i lavori. “Per la prevenzione del dissesto è fondamentale mettere in sicurezza le zone franose, dove sono presenti colate detritiche che possono poi riversarsi sui centri abitati”, continua Raso.
Il progetto ha anche un importante aspetto sociale. Sarà che chi vive nelle Cinque Terre ha vissuto in prima persona lo spopolamento e sa cosa vuol dire emigrare, che si è creata una maggiore sensibilità per chi ha meno. Il progetto prevede, infatti, corsi didattici annuali indirizzati a disoccupati, migranti e categorie svantaggiate che potranno imparare un mestiere con l’obiettivo poi di trovare un impiego sul territorio e portare avanti l’antica tradizione della costruzione dei muri a secco.
“Ma non c’è solo Stonewallsforlife, spiega Raso, sono diversi i progetti in cui il Parco è impegnato e prevedono la protezione dell’area marina protetta: i più importanti sono i progetti LIFE e Interreg, che coinvolgono anche altre realtà nazionali ed europee”. Tra questi segnala RELIFE che si occupa della reintroduzione della patella ferruginea (mollusco che non era più presente nelle acque dell’area marina protetta del Parco); MEDSEALITTER, sulle buone pratiche per contrastare la dispersione di inquinanti in mare; GIREPAM, per la creazione di una rete ecologica per arrestare la perdita di biodiversità; MAREGOT per studiare i rischi legati all’erosione costiera; ROCPOPLIFE riguarda, invece, il monitoraggio di un tipo di alghe brune “cystoseira” che ha un ruolo chiave nell’ottica del mantenimento dell’ambiente marino perché è un ottimo “sequestratore” di CO2.
L’emergenza Covid-19 è arrivata anche qui, causando un rallentamento dei lavori sul campo, soprattutto bloccando l’avvio dei primi corsi. Ma nonostante alcune difficoltà il progetto procede come da programma. Raso è soddisfatto quando elenca quanto fatto: “Abbiamo iniziato i rilevamenti geomorfologici e sono stati individuati e censiti i lotti su cui lavorare. Insieme all’Università di Genova abbiamo poi verificato altezza, lunghezza ed estensione dei muri a secco e verificato le opere di drenaggio sia orizzontale che verticale che andremo a realizzare. Il lotto di partenza è stata scelto insieme alla Fondazione Manarola e si tratta di un’area centrale all’interno dell’anfiteatro di Manarola, quello che presenta maggiori criticità”.
Ma il progetto ha ancora molto strada da fare, Raso lo sa e non nasconde come l’obiettivo dopo avere restaurato i primi sei ettari di terrazzamenti a Manarola sia trovare altri siti dove “replicare” le azioni intraprese. Magari negli altri comuni delle Cinque Terre e sicuramente nel Diputaciò Barcelona luogo ideale in quanto ha caratteristiche simili a quelle della riviera del levante ligure.
“Stonewallsforlife – conclude Raso – è un progetto che ha diverse aspetti interessanti: mette in campo soluzioni concrete per l’adattamento ai cambiamenti climatici e, contemporaneamente, va a ripristinare un territorio prima abbandonato ottenendo non solo un beneficio paesaggistico ma anche sociale”.
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