di Ludovica Schiaroli
Il progetto Stonewallsforlife riproduce su larga scala quanto fatto fino ad oggi dalla Fondazione Manarola. L’intervista a Eugenio Bordoni, vicepresidente.
“Abito in cima al paese di Manarola e ogni giorno mi alzo, guardo fuori dalla finestra e vedo questi muri a secco in stato di abbandono e penso sia una mancanza di rispetto per chi su questa terra ha faticato, per mio padre, mio nonno e tutti quelli che hanno costruito questi monumenti di pietra”.
Lo racconta Eugenio Bordoni, vicepresidente della Fondazione Manarola Cinque Terre, tra i primi a credere nel progetto Stonewallsforlife e nell’importanza del recupero dei muri di pietra per contraste il dissesto idrogeologico e i cambiamenti climatici.
D’altronde la Fondazione Manarola nasce proprio con questa missione in seguito all’alluvione del 25 ottobre del 2011: “le persone del luogo dopo quelle tragiche giornate (13 morti tra costa ed entroterra con i borghi di Monterosso e Vernazza quasi distrutti) volevano dotarsi di uno strumento efficace per la difesa del territorio e per la propria incolumità”, spiega Bordoni. Inizia così il percorso che porterà nel 2014 alla formalizzazione della Fondazione e l’anno successivo all’inizio dei primi lavori di pulizia e ripristino dei muri nelle due colline che cingono Manarola, complessivamente 11 ettari di terreno. “È una Fondazione di partecipazione – spiega Bordoni – non ha scopo di lucro e persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale nel settore della tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente”.
“Lo dico sempre ci vorrebbero 10, 100, 1000 Fondazioni, non solo in Liguria ma in tutte quelle aree dove l’abbandono delle campagne e lo spopolamento mettono a rischio il territorio e chi lo abita” – racconta Bordoni mente spiega come la Fondazione rappresenti un anello di congiunzione tra privati ed enti pubblici, in questo caso con il Parco e i comuni delle Cinque Terre.
Si tratta, a farla semplice, di un lavoro di intermediazione: la Fondazione affitta i terreni abbandonati o incolti dai proprietari e dopo averli puliti, avere risistemato le opere murarie e i canali di scolo, li dà in affitto (a lungo termine) allo stesso prezzo ad aziende, possibilmente del luogo, che ne garantiscono il mantenimento.
“L’abbandono dei terreni è il primo problema da affrontare – spiega Bordoni – qui sono tutti piccoli appezzamenti a conduzione famigliare, abbandonati nel dopo guerra da chi è andato via per cercare un lavoro meno faticoso e più remunerativo”. La prima sfida è stata quella di creare una sorta di mappa dei terreni incolti rintracciando i proprietari per poi iniziare i lavori.
“Nell’affidamento degli appezzamenti, come prima cosa valutiamo l’elemento di contiguità, in modo che gli appezzamenti vengano accorpati il più possibile – continua il vicepresidente della Fondazione – e preferiamo darle alle aziende agricole già presenti sul territorio in modo che possano migliorare l’economia di scala. Naturalmente, nulla vieta a un operatore esterno di venire e chiedere una parte di questi campi”.
Questo è quanto avvenuto fino ad oggi, il progetto Stonewallsforlife parte da questa esperienza virtuosa con l’obiettivo di ampliarla e replicarla in altre zone.
“Se oggi siamo qui con un progetto europeo da gestire è grazie al Parco delle Cinque Terre che ci ha creduto fin dall’inizio e ha collaborato alla sua scrittura e a Ugo Miretti di ITRB Group, e al suo amore per questa terra” – continua Bordoni mentre spiega come l’obiettivo, a fine progetto nel 2024, sia il recupero della quasi totalità dei sei ettari di terreni alle spalle di Manarola per poi replicare l’esperienza, con tutta probabilità, nei comuni di Monterosso e Vernazza e nel Parc del Garraf, nella Provincia di Barcellona.
Al fianco del Parco che coordina il progetto sono presenti Legambiente per le sue competenze nell’ambito dell’ambientalismo scientifico, il dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Genova per la parte di monitoraggio scientifico e il Diputaciò Barcelona, che ha un ruolo chiave nella replicabilità del progetto in altre aree dell’Unione Europea con condizioni simili.
I maestri in grado di insegnare a costruire un muro a secco si contano sulle dita di una mano ammette Bordoni: “il rischio è quello che la trasmissione di un sapere antico vada perduto, eppure riprendere a coltivare i terreni abbandonati potrebbe rappresentare una svolta importante per il nostro territorio: al momento ci sono circa 25 aziende che etichettano e vendono il vino in Italia e all’estero, le potenzialità per crescere ci sono”.
Una parte del progetto risponde proprio a queste esigenze, là dove si prevede l’avvio di corsi didattici per disoccupati o categorie svantaggiate, per far sì che questa conoscenza venga preservata e tramandata.
In questo modo si risponde allo spopolamento e alla mancanza di manodopera creando un’opportunità di lavoro e di sviluppo del territorio.
“In fondo quello che facciamo è preservare il paesaggio per renderlo ancora più bello – continua Bordoni – ho una foto dove sono ancora visibili le trame dei terrazzamenti e dei canali di scolo, sembra passato un secolo e invece è uno scatto del 1981. Questo progetto, per me è una sorta di opera collettiva, un esempio di macchina del tempo, perché rivedere queste colline come le vedeva mio padre sarà una forma speciale di felicità.”
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