di Ludovica Schiaroli
L’università di Genova gioca un ruolo chiave nello sviluppo del progetto Stonewallsforlife occupandosi di tutta l’attività di ricerca e mettendo in rete le conoscenze e l’esperienza del DISTAV (Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita) con l’obiettivo di capire come è possibile rendere questa tecnica più resistenti ed utile a contrastare l’effetto dei cambiamenti climatici.
Il progetto è coordinato dal professore Marco Firpo, mentre “sul campo” lavorano Andrea Vigo e Andrea Mandarino, entrambi assegnisti del DISTAV.
“Per prima cosa abbiamo iniziato un lavoro di indagine per avere un inquadramento geologico e geomorfologico dell’area del progetto – spiega Firpo – era necessario capire come sono distribuiti e in che situazione versano i muri a secco per poi indicare gli interventi da effettuare”.
Fortunatamente non si partiva completamente da zero, visto il lavoro che dal 2011 la Fondazione Manarola sta portando avanti sul territorio, mappando l’area e, dove possibile, intervenendo anche in loco con ripristini di porzioni di muri.
Finita la fase di indagine e mappatura delle opere di sostegno, da un punto di vista scientifico si entrerà nel vivo del progetto attraverso l’attivazione di quattro stazioni di rilevamento che, grazie ai dati raccolti, permetteranno di avere informazioni non solo meteorologiche, ma anche relative a tutta la parte del terreno di riempimento a tergo del muro, come ad esempio la granulometria, la porosità e come l’acqua si infiltra nel terreno.
Ma come sono fatte e come funzionano le stazioni di rilevamento?
“Il supporto è costituito da un palo infissi nel terreno per circa 1-2 metri e su cui viene posizionata una centralina con SIM card – spiega Firpo – alla centralina con batteria alimentata da pannello solare sono collegati dei sensori che permettono la raccolta dati a diverse profondità lungo il profilo della coltre presente dietro il muro, mentre sulla sommità è posizionata una stazione meteorologica che trasmesse i dati in tempo reale. Questa strumentazione è allo stato attuale oggetto di possibili integrazioni per quanto concerne in particolare la stima quantitativa del tasso d’erosione in diversi punti del sito pilota”.
Naturalmente ci sono dei tempi tecnici: per avere dei dati accurati è necessario che il periodo di indagine sia lungo almeno un anno.
I dati complessivi vengono poi elaborati e studiati dall’Università di Genova con l’obiettivo di trovare soluzioni per rendere i muri più stabili e resistenti alle precipitazioni rese sempre più intense dal cambiamento climatico.
Per semplificare possiamo dire che quando vediamo dei muri “spanciati” significa che lì c’è un problema causato dalla spinta dell’acqua alle spalle del muro, che può avere come conseguenza ultima il collasso dell’opera. Certamente, l’abbandono, l’incuria e le forti precipitazioni degli ultimi anni possono essere indicate tra le principali cause dell’attuale stato di degrado in cui si trovano molti muri a secco.
D’altronde la conformazione orografica delle Cinque Terre – con i suoi versanti a picco sul mare – la rende un territorio particolarmente fragile ed il muro a secco può, ancora una volta, giocare un ruolo rilevante: “il muro a secco non aveva solo lo scopo di recuperare più terreno da coltivare, ma era soprattutto un modo per arginare il dilavamento di questi versanti molto ripidi, dove tutto accade con grande intensità”, conclude Firpo.
Il lavoro portato avanti dall’Università di Genova è importante non solo per salvaguardare il paesaggio delle Cinque Terre, ma anche per la possibilità di fare scuola. È il caso del Dipartimento di Barcellona in Catalogna, partner internazionale, con un ruolo chiave nella replicazione del progetto in altre aree dell’Unione Europea, che presenta simili situazioni a livello morfologico. “Con loro stiamo già lavorando – racconta il professore – abbiamo fatto un primo incontro “virtuale” per dare loro ausilio relativamente alla parte geologica e geomorfologica che abbiamo svolto a Manarola”.
Purtroppo – causa emergenza Covid19 – dopo le primi indagini sul terreno, i lavori si sono fermati, ma a breve ripartiranno – assicura il professore mentre aggiunge che in questi mesi di lockdown sono invece proseguite le attività di studio e adesso tutto è pronto per tornare a lavorare sul campo.
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