di Ludovica Schiaroli
Intervista all’agronoma Paola Caffa del gruppo di progettazione che si occupa degli interventi nell’area pilota per scoprire cosa è emerso dopo i lavori di pulizia nelle fasce.
Incontriamo Paola Caffa, agronoma e parte del gruppo di progettazione, il giorno del sopralluogo nell’area di intervento dopo che sono stati eseguiti i lavori di pulizia dalla vegetazione infestante e sono emersi i muri ed è quindi possibili quantificare i lavori che andranno fatti per il recupero dell’area e la messa a coltura dei terrazzamenti. Insieme a Paola Caffa, fanno parte del gruppo di lavoro Alessio Currarino che è ingegnere e Roberto De Franchi, geologo.
Camminiamo fuori dal sentiero segnalato e nonostante lo sguardo corra all’orizzonte, al mare, teniamo gli occhi piantati per terra perché il terreno è accidentato e non è facile guadagnare i terrazzamenti anche se sono stati ripuliti. «Gli interventi nei primi due lotti sono iniziati a fine dicembre e sono finiti a metà febbraio – racconta Caffa – è stato un lavoro complesso perché tutta l’area era ricoperta da una vegetazione molto fitta, prevalentemente macchia mediterranea. Oggi, finalmente, possiamo iniziare a quantificare i prossimi interventi che prevedono la fornitura delle pietre, il trasporto, la ricostruzione della muratura e delle opere di drenaggio».
Ogni passo ci ricorda la fatica di chi ha costruito pietra su pietra questi muri, queste terrazze, che per secoli hanno rappresentato il sostentamento per intere famiglie e oggi grazie al progetto Stonewalls4life stanno riemergendo dopo anni di abbandono.
Un terzo dei muri è da ricostruire
Quanto è emerso dopo il lavoro di pulizia è la fotografia di anni di abbandono: la vegetazione infestante è penetrata anche tra le pietre sfondando o “spanciando” i muri. «I muri crollati in realtà non sono tantissimi. Una stima approssimativa ci dice che abbiamo circa il trenta per cento di muri da ricostruire, però se ci troviamo con un muro ammalorato in più parti alla fine è meglio demolirlo e ricostruirlo da capo» continua Paola Caffa mentre spiega che dove la pendenza è più elevata, si trovano i muri conservati peggio e spesso si tratta delle zone abbandonate da più tempo. Le aziende che hanno effettuato i lavori di pulizia si sono trovate ad affrontare qualche imprevisto: ed esempio è capitato spesso che la vegetazione nascondesse vecchie strutture in ferro che servivano per l’allevamento della vite.
Paola Caffa da agronoma ci fa notare come il vecchio sistema di allevamento a pergola sia certamente molto bello e rispettoso della tradizione ma non più “fisicamente sostenibile” al giorno d’oggi. «E intendo proprio fisicamente – conferma Paola – una volta la pergola seguiva l’andamento della montagna e le lavorazioni venivano svolte anche in ginocchio. Certo il colpo d’occhio da un punto di vista paesaggistico era migliore dell’attuale sistema a filari: la montagna era tutta verde… ma accadeva questo perché si doveva utilizzare ogni centimetro di terra. Oggi per fortuna non è più così».
Tra tradizione e modernità
Adesso che le fasce sono libere dalla vegetazione incominceranno le misurazioni per quantificare esattamente quanti muri saranno da ricostruire, quante pietre si potranno recuperare, quante andranno comprate. «Una volta i muri si costruivano con la pietra del luogo – racconta Paola Caffa – dove potremo riutilizzeremo le pietre antiche che sono ancora in buono stato, purtroppo però spesso sono ammalorate, cotte dal sole e inutilizzabili. Le pietre nuove le compreremo in cave tra la Liguria e l’Emilia Romagna. L’importante è che rispettino il cromatismo della pietra presente in loco». Spesso le vecchie pietre vengono utilizzate nella parte posteriore del muro come drenaggio. È ancora difficile – ad oggi – quantificare quante pietre ci vorranno, mentre con tutta probabilità verranno portate in loco grazie all’ausilio di un elicottero. «Quando ci si trova in contesti così estremi l’elicottero è la soluzione ideale – spiega Paola – le pietre vengono inserite già in cava in grandi sacchi bianchi con le maniglie che poi verranno lasciati in un luogo accessibile all’elicottero che poi le porterà, fascia per fascia, alla base del muro da ricostruire». Ogni volo l’elicottero porta tra gli 8 e i 10 quintali, diversamente bisognerebbe usare le cremagliere che però portano quattro, cinque pietre alla volta, impegnando almeno tre uomini e poi bisogna raggiungere la fascia, quasi sempre in zona impervia, con una carriola. Alla fine, anche economicamente l’elicottero è la soluzione migliore.
I lavori procedono in parallelo
Mentre oggi il gruppo di lavoro sta quantificando i muri da ricostruire, la Fondazione Manarola continua la ricerca dei proprietari del lotto successivo, e i ricercatori dell’Università di Genova studiano come realizzare le stazioni di misurazione. I lavori procedono così in parallelo, con fasi e tempi diversi.
Quando i muri saranno recuperati inizierà il lavoro di messa a coltura dei terreni. Paola Caffa spiega che l’obiettivo finale è quello di mantenere il paesaggio classico storico di questa zona «con vigneto, soprattutto, alberi da frutto (agrumi) e erbe aromatiche».
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