di Ludovica Schiaroli
Intervista a Stefano e Alessandro, manutentori del Parco delle Cinque Terre, che hanno trasformato la loro passione per i muri a secco in un lavoro.
Basta volgere le spalle al mare e lo spettacolo è eccezionale. Non il blu del Golfo dei Poeti ma le diverse tonalità di verde che in questo periodo colorano il monte che sovrasta l’abitato di Riomaggiore. Un paesaggio antico fatto di fasce, muri a secco, in parte coltivati in parte in abbandono, vigne e un sentiero che porta dal centro del paese fino al Santuario di Montenero; è la Via Grande, l’antica strada che portava pellegrini e devoti al santuario o proseguendo, a Portovenere e negli altri borghi delle Cinque Terre.
Oggi lungo il tragitto sono sempre di più i turisti che si incontrano per gli stretti e ripidi sentieri che prendono quota. Questo accade grazie a un progetto del Parco delle Cinque Terre che da poco più di un anno ha creato una vera e propria task force di 12 persone formate e specializzate, che si occupano della manutenzione e valorizzazione dei sentieri del Parco.
I manutentori del Parco
Stefano Cancedda e Alessandro Fichera si occupano dell’area afferente al comune di Riomaggiore che comprende complessivamente 48 km di sentieri, sono una delle quattro squadre che operano sui sentieri su indicazione dell’Ente Parco.
Li incontro dopo circa quaranta minuti di cammino, mentre stanno finendo di sistemare un muro a secco sulla Via Grande. Lungo il sentiero si notano i tanti interventi eseguiti per la messa in sicurezza di muri e selciato che rendono il percorso perfettamente agibile.
«Il nostro compito è tenere puliti i sentieri, tagliare alberi se c’è pericolo crollo, ripristinare e mettere in sicurezza i muri in pietra» – spiega Stefano mentre continua a spostare le pietre per poi inserirle con grande maestria in un muro in (ri)costruzione – «Purtroppo oggi non siamo come negli anni Ottanta quando eravamo in 4500 abitanti, siamo poco più di mille e per i boschi e le fasce sono sempre meno quelli che ci lavorano».
Un lavoro impegnativo che d’estate inizia presto al mattino quando il sole ancora non picchia troppo forte, mentre in inverno le condizioni climatiche danno la possibilità di lavorare per l’intera giornata. Ma le soddisfazioni non mancano: «È da un anno che facciamo questo lavoro e i primi mesi è stata dura, abbiamo tagliato e tagliato… c’era vegetazione da tutte le parti, era tutto abbandonato… c’è ancora molto da fare ma i primi risultati stanno arrivando», continua Alessandro mentre racconta quando lo scorso inverno, dopo due mesi di lavoro, sono riusciti a riaprire la strada per Cacinagora, il primo nucleo abitativo di Riomaggiore, che da trent’anni era inagibile.
Ogni borgo ha il suo stile
Così come i muri non sono tutti uguali, allo stesso modo ci sono diverse scuole e tecniche per costruirli. Basta spostarsi da Riomaggiore a Manarola e già le cose cambiano. «Ogni paese ha il suo stile, a Manarola sono precisissimi, vanno con il filo, li vogliono tutti dritti e precisi – racconta Stefano – invece io ho imparato da mio nonno che mi diceva che l’importante è bilanciare bene i sassi, poi se esce fuori qualcosa non è importante, anzi diceva: “lasci spazio all’uccellino perché ci si appoggi…” a volte ci lasciavano la briciola, io me lo ricordo, mio nonno lasciava qualche spuntone che usciva fuori e ci metteva un po’ di pane…».
Poi c’è Volastra, Corniglia… ognuno con il suo stile di tirare su i muri.
L’arte di conoscere le pietre
Certamente fare un muro a secco è un grande lavoro di ingegno, perché oltre alla teoria, c’è bisogno di tanta pratica per capire come agire a seconda della situazione in cui versa il muro, se è totalmente distrutto o se è solo da riparare e bisogna arrangiarsi con quello che si ha. «Un po’ come una volta» – e Stefano mi indica il monte dritto sopra Riomaggiore, e mi racconta che quella era la vecchia cava Schiappasassi, da dove viene tutta l’arenaria usata per costruire parte dei muri e delle strade che scendono al paese – «non c’erano molte cave qui, se guardi bene si vede ancora il percorso che faceva la pietra quando la facevano precipitare a valle… anche nei muri ci mettevano quello che trovavano».
Un muro lo si fa sempre in due: uno passa il sasso e l’altro lo sistema.
Ogni pietra ha un nome e a seconda della forma e della dimensione verrà posizionata in un punto esatto del muro. «Come prima cosa – continua Stefano – si dividono i sassi dalla terra e poi ci si concentra sui sassi. Ci sono quelli da travaggio che sono i più grossi, servono per fare la base e danno forza al muro, un po’ come le teste de pigua (di pecora), oggi li chiamano balon, perché sono grandi e hanno una forma tonda, i recausi, si mettono dietro al muro e servono per drenare l’acqua, poi ci sono le ciapele, che sono piatti e servono per creare una sorta di allineamento del piano, mentre per riempire bene usiamo i triduei, che sono sassolini piccolini da usare nella parte alta del muro per pareggiare il tutto, quelli più lunghi, noi a Riomaggiore li chiamiamo belinotti, e vanno nella parte centrale del muro».
Così chiamano le pietre a Riomaggiore; a Manarola, Volastra, Monterosso e Corniglia potrebbero non capirvi, naturalmente.
Come si diventa manutentore del Parco
Intanto ci vuole passione. Alessandro e Stefano ne sono convinti e la loro storia lo conferma. «Ho iniziato a spostare i sassi da bambino con mio nonno – racconta Stefano – si iniziava così, passavi i sassi e guardavi cosa facevano i vecchi. La mia soddisfazione è rifare i muri, se penso alla fatica che hanno fatto i nostri vecchi, a quello che hanno costruito, questa è la loro eredità; se li abbandoniamo viene più tutto e poi cosa facciamo qui, una spiaggia gigante?»
Alessandro è spezzino ma veniva nelle Cinque Terre da ragazzo e la passione per i muri a secco la coltiva da allora. «Ho fatto per tanti anni il maniscalco, sono bravo a spaccare le pietre. Quassù, nel silenzio, sento solo il suono delle cicale e il rumore del martello che rompe la pietra. Questo lavoro mi rende felice».
Sia Stefano Cancedda che Alessandro Fichera sono diventati manutentori dopo aver frequentato un corso organizzato dal Parco delle Cinque Terre l’anno scorso.
Il manutentore di sentieri è un lavoro per giovani?
Stefano e Alessandro dicono di sì. A patto naturalmente che si abbia voglia di faticare. La contropartita è però lavorare in un ambiente meraviglioso a contatto con la natura. «Quando abbiamo fatto il corso noi, nel 2020, abbiamo raggiunto a fatica le dieci persone – racconta Stefano – quest’anno invece, forse anche a causa del Covid-19, c’è stato il tutto esaurito».
Obiettivo Scalasanta
Appena finiti gli interventi sulla Via Grande, Stefano e Alessandro si sposteranno sulla Scalasanta, la vecchia scala che si trova nei pressi del Telegrafo, «bellissima con blocchi di pietra enormi datati intorno all’anno mille». A guardarsi intorno non si fatica a immaginare gli uomini e le donne che lavoravano lungo questi sentieri, tutto è rimasto (quasi) come allora.
«Un tempo da Monterosso a Riomaggiore c’erano 220 anelli che partivano dai monti e arrivavano fino giù al mare, sentieri di pietra che disegnavano queste montagne, – racconta Stefano – uno spettacolo».
Già allora, sono sicura, che molti dopo avere osservato il mare, voltavano le spalle, guardavano la montagna, i sentieri tracciati dall’uomo, i muri ordinati che si susseguivano uno dopo l’altro e lo sguardo rimaneva fisso, lì.
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